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Material & Meditations

NOTE SU COME INTERPRETARE FELDMAN (2016) DI JOHN TILBURY

Le seguenti note sono state scritte da John Tilbury per accompagnare il 3° volume della sua serie di registrazioni con lo Smith Quartet di “MUSIC for PIANO AND STRINGS by MORTON FELDMAN” pubblicato dall'etichetta MATCHLESS RECORDINGS (MRDVD-03, 2016).

Le note sono qui riprodotte con il suo gentile permesso.

SULLA MORBIDEZZA

La morbidezza attira il pubblico nella musica, incoraggia l'attenzione e l’essere vigili. Richiede anche un ascolto "trascendentale" nella sua ricerca di un'esperienza rivelatrice. Forse è a questo che si riferiva Feldman quando in un'occasione, appena prima di un concerto, in attesa dietro le quinte per quanto ricordo, mi ha esortato, come se si rivolgesse a un pugile di New York, a "buttarli giù". 

La morbidezza aumenta la coscienza, accresce la consapevolezza, per esempio, delle idiosincrasie dello strumento con cui ci si confronta. Come ha osservato Cornelius Cardew, ascoltando Feldman dobbiamo abituarci a nuove dimensioni, un pò come se fossimo Alice nel Paese delle Meraviglie. 

Quando abbiamo varcato la porta stretta e ci siamo abituati alla luce fioca, ci rendiamo conto dell’estensione della sua immaginazione e delle differenze significative che distinguono un pezzo dall'altro. L'esecutore e l'ascoltatore diventano entrambi consapevoli che la qualità dinamica all'interno della morbidezza crea una straordinaria varietà. (Sto pensando ora all'ineffabile bellezza del suono degli archi degli Smiths in piano and string quartet) In altre parole, non si tratta solo di un pianissimo di routine, appreso al conservatorio, anche se abilmente controllato. 

SUL NON INTENZIONALE

Il rispetto per il non intenzionale ("accidentale") incarna per l'interprete la nozione di attualità, di unicità. Inoltre, l' "accidentale" è un corollario dell'estrema morbidezza che Feldman richiede e che comporta necessariamente dei rischi.  

L’ interprete si muove sul limite, sul confine tra suono e non suono. L'accidentalità è una componente attiva, che va contestualizzata, preferibilmente con convinzione. La musica risponde alle contingenze del luogo, della temperatura, etc. etc.

Tenere le orecchie "fantasticamente alla deriva" (Philip Clark), mentre sono attente all'ambiente circostante e aperte alla possibilità di cambiamento, è una seconda natura per i musicisti improvvisatori  così, allo stesso modo, deve essere per gli interpreti di Feldman. Non esiste un piano di controllo. In una discussione radiofonica Feldman una volta si riferì a ciò che riconosceva, in molti casi, come l'apparente paura del musicista professionista per il suo strumento, una paura che crea, come diceva lui, una distanza tra l'esecutore e lo strumento.

Ha parlato della necessità, nella sua stessa musica, di una vicinanza del musicista allo strumento – una vicinanza che descriverei come un'unità, che si crea con un impegno radicale delle qualità muscolari, fisiche ed essenzialmente sensuali nell'esecuzione della sua musica. 

Vi è una dialettica tra l'estrema sensibilità e controllo della punta delle dita - che incarna la nozione di intenzione - e il riconoscimento, attraverso la consapevolezza del contingente, dell'impossibilità, anzi dell'indesiderabilità, del controllo.

Intimamente, a distanza ravvicinata, l'esecutore sperimenta la vulnerabilità dell'intenzione e l'inevitabilità e  l'accettazione del fallimento. Ciò conferisce alla musica la sua qualità unica.

SULL'INTERPRETAZIONE

È un interprete temerario e ingenuo chi tenta di
predeterminare e strutturare la sua interpretazione di questa musica, poiché essa
si svolge in modo organico, rispondendo alle idiosincrasie dello strumento, alla forma e all'acustica della stanza, all'ambiente generale. Tutte queste componenti sono parti attive nella creazione di musica. La musica assume una natura quasi autonoma, come se il musicista "inseguisse" non consapevolmente o "professionalmente", la produzione dei suoni; l’interprete segue così una rotta rischiosa in cui fraseggio, dinamica e profilo ritmico sono "situazionali". 

Ad esempio, in piano and string quartet  la parte per pianoforte comprende principalmente arpeggi. Ho deciso di instillare un atteggiamento di "spontaneità", di "improvvisazione" in questi arpeggi, caratterizzandoli individualmente in un modo o nell'altro: attraverso un discreto rubato, attraverso un'inflessione dinamica, una sottile distorsione ritmica, ecc.

Nei primi lavori di Feldman, degli anni Cinquanta e Sessanta, ci sono molti esempi di singole note o frasi che vengono ripetute
esattamente; si tratta semplicemente di "congelare" la musica per dare peso e concentrazione a un singolo accordo o frase, a quei tempi, aspiravo a un'esattezza quasi disumana. Ricordo un'occasione della mia esecuzione di intermission 5 che spinse il compositore Klaus Huber a fare un'osservazione piccante. Alla fine del pezzo c'è una breve frase che viene ripetuta nove
volte. Ho cercato di rendere ogni ripetizione uguale alla precedente. Huber  osservò che non solo erano gli stessi, ma erano anche più gli stessi del precedente! Suppongo che stesse dicendo che hanno superato le aspettative dell'ascoltatore su cosa significhi "identità". Nel cercare di superare quelle aspettative, si riconosce che tutto è diverso.  

In gran parte della musica successiva, Feldman prescrive un impulso, non di rado tra 63 e 66 (bpm). Quando Feldman inizia for bunita marcus  con l'alternanza di misure di 3/8 e 5/16 mi avvicino a ciò con rigore, fino al punto, paradossalmente, di allungare leggermente le misure di 3/4. Allo stesso modo mi regolo con palais de mari che alterna misure di 7/8 e 2/2. 

Poi, di recente, ho letto le critiche cautelative di Feldman riguardo all'osservanza della pulsazione. Una conversazione tra lui e il compositore Xenakis ha riguardato una recente interpretazione del trio di Feldman:

Feldman: ho sentito che il tutto era solo un po' rigido.

Xenakis: volevi più agitazione?

Feldman: lo, volevo che respirassero l'uno con l'altro, insieme, in modo più naturale. Respirare piuttosto che contare

Xenakis: ma hanno contato correttamente

Feldman: sì, hanno contato correttamente. Forse era così, ma il conteggio era un po 'troppo meccanico.

Infatti nella musica successiva di Feldman ci sono ore e ore di pulsazioni. Immagino che ciò che Feldman volesse dire fosse che contavano come metronomi, invece che come esseri umani. È da evitare un'aderenza servile alla pulsazione, per quanto allettante possa sembrare. Quindi devo pensare alla pulsazione. La pulsazione ci aiuta nel nostro orientamento ritmico, specialmente nell'esecuzione in ensemble. L'impulso dovrebbe essere entro, o appena oltre la portata della musica. La musica fluttua al di sopra e al di là della pulsazione, ma la “sentiamo”.

SULLA NOTAZIONE

In Feldman ciò che è dato nella notazione è essenziale; nessuna retorica, niente di superfluo e, uno dei grandi punti di forza di Feldman, l'unità di tono e registro è impeccabile. Naturalmente, molto deve essere detto attraverso la notazione, ma a mio avviso, ancora di più deve essere lasciato non detto. Troppo spesso, almeno nella mia esperienza, le notazioni "dicono" troppo. L'equilibrio tra il detto e il non detto è l'essenza della responsabilità del compositore. 

Di solito sono riluttante a interrogare un compositore sulla sua partitura, anche se dopo la morte di un compositore, come nel caso di Cardew e Feldman, mi pento di non aver chiesto loro di più. Eppure il dover chiedere mi sembra dimostrare un'inadeguatezza, sia del compositore per non aver prodotto una notazione autosufficiente, sia di me stesso per l'incapacità di capire ciò che per gli altri è cristallino.

SULL'INESPLICABILE

Da notare è il rarissimo, improvviso e breve, per esempio, singolo accordo  fff nella parte di pianoforte nel Trio. Dobbiamo attendere quasi 6 ore di musica (i primi due DVD) per poterlo ascoltare. Ci sono anche sforzandi nella parte del violino, ma di minor impatto. Per l'ascoltatore, colto di sorpresa, il volume è più simile al rumore, un'invasione da una fonte aliena. Mi chiedo spesso cosa intendesse Feldman con questo. Forse la definizione dinamica è psicologica piuttosto che musicale? Ci sono altri interventi meno drammatici, come la piccola danza sbarazzina ripetitiva che appare dal nulla in For John Cage. E mi gratto la testa all’apparire voluto di misure vuote di 1/8 o 3/16. Qual è la loro funzione? Dov'è la differenza?

QUESTIONI GENERALI

Al suo apice, la musica di Feldman può toglierci il fiato, fornendo un'esperienza rivelatrice, una trasparenza, che non ha bisogno di discussioni. Ripensando a piano and string quartetci sono momenti di straordinaria bellezza in cui, attraverso un repentino cambio di registro, l'oscurità avvolge la musica; altrove il suono degli archi avvolge gli arpeggi del pianoforte. Feldman sembra occupare uno spazio metafisico e invadere il dominio della spiritualità normalmente associato alla religione. 

Quest'arte strappa la spiritualità alla religione; la spiritualità non è proprietà privata della religione. Forse con Feldman si può sostenere una sorta di utopismo musicale. Non si può suonare questa musica soltanto con capacità puramente professionale.


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